Il rapporto di una donna con il figlio maschio è unico, ma nasconde insidie perché se mal gestito può diventare morboso. Con conseguenze negative sia per la mamma sia per il bambino. Maria Malucelli, docente di psicologia clinica, specialista in psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva, spiega come evitare le trappole più comuni.
“Mamma tu sei la più bella del mondo”: ogni madre si è sentita dire questa magica frase dal suo bambino, perché tra tutte le mamme e i loro figli maschi c’è un legame speciale. Per lui la madre è il primo oggetto d’amore ma anche la prima immagine della donna. Eppure questo amore non è senza spine, può avere effetti indesiderati. Un tema di cui si è occupata di recente Véronique Moraldi, specializzata nell’analisi dei rapporti familiari e delle loro conseguenze sul comportamento degli adulti, nel libro Figlio di sua madre (Urra, 18 Euro). Ne abbiamo parlato con Maria Malucelli, docente di psicologia clinica, specialista in psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva.
Tra figlio maschio e madre c’è un rapporto unico e speciale. Che cos’è che lo rende diverso rispetto al rapporto con la figlia femmina?
Il rapporto speciale è legato proprio all’attrazione dei sessi contrari. È una situazione del tutto naturale e biologica che innesta nella relazione madre-figlio un comportamento seduttivo da parte della madre, accolto con piacere dal figlio che lo legge come una presenza costante. Anche con la figlia si instaura un rapporto speciale ma più tardi (intorno ai 5 anni) ed è determinato dal modeling, cioè dall’esigenza della bambina di prendere come modello la figura femminile materna.
Come evitare di esagerare nel godersi l’unicità di questo rapporto?
Il confine è la morbosità: quando l’amore della madre verso il figlio impedisce lo sviluppo delle varie tappe evolutive. Il che vuol dire che da 0 a 2 anni impedisce la socializzazione, da 2 a 4 anni vanifica la capacità di giocare da solo e usare la fantasia, dai 4 ai 7 castra il modeling con la figura paterna o maschile in generale su cui il bambino deve modellare la sua personalità; dai 7 agli 11 limita l’esplorazione del mondo e dai 12 anni in poi impedisce la cosiddetta de-satellizzazione, ovvero la libertà di uscire dal raggio genitoriale per trovare all’esterno altre figure di riferimento.
Quali possono essere gli “effetti indesiderati” di un rapporto madre-figlio distorto?
Il più eclatante è quello che compare dai 10 anni in poi. Tipicamente si manifesta un sentimento di rabbia verso la figura materna che diventa troppo ingombrante. Perciò, i figli maschi iniziano a evitare qualunque tipo di smanceria o coccola. Ciò significa che anticipano il bisogno di un distacco fisico ed emotivo-affettivo mostrando grande insofferenza verso la madre, ma ciò avviene a loro discapito perché a 10 anni si ha ancora bisogno del contatto affettivo con la mamma. Oppure può verificarsi la situazione inversa: il bambino non si rende conto che ha la capacità di stare da solo per cui prolunga la dipendenza verso la madre e la situazione peggiora se lei lo asseconda.
Nella fase del bambino in età pre-scolare, quali sono gli errori tipici che una madre può commettere con il figlio maschio?
Fino ai 5 anni il bambino ha bisogno di confrontarsi con i propri simili perché da questo confronto nasce la coscienza. Perciò, la madre non deve tenerlo chiuso nel guscio familiare, ma deve agevolare anche prima dell’inserimento nella scuola materna la socializzazione con gli altri bambini. È sbagliato anche continuare a trattarlo come se avesse sempre due anni senza incoraggiare l’autonomia. Un bambino anche al di sotto dei 5 anni può essere in grado di vestirsi e mangiare da solo. E poi c’è la questione del lettone: se lo lasciamo dormire con noi, prolunghiamo il cordone ombelicale e creiamo un problema di intimità irrisolta e una dipendenza corporea che si porterà dietro per sempre.
L’adolescenza spesso cambia le carte in tavola e trasforma anche il più amorevole bambino in un alieno che persino la madre non riconosce più. Quali sono gli errori più comuni?
Se il figlio maschio ha avuto un rapporto privilegiato con la figura materna quasi sempre avrà una difficoltà di modeling. Cioè se non ha avuto un modello maschile a cui ispirarsi, non saprà ben identificarsi e come reazione inconsapevole crea un distacco dalla figura materna ma lo fa con più rabbia, non avendo nessuna figura maschile con cui prendersela. Che fare? La madre deve spiegare al figlio che se non c’è papà non è colpa di nessuno, ma deve anche riconoscere che in adolescenza la ribellione del figlio è una forma di apprendimento, offrendosi come base sicura anche per esprimere emozioni negative. È sbagliato, invece, non riconoscere la ribellione e insistere su un bisogno di attaccamento che il figlio deve superare.
Come lasciarlo andare, una volta adulto?
Anche spiccare il volo è una tappa di crescita e va fatta quando il ragazzo è pronto. Non sempre lo è a 18 anni, ma se c’è una richiesta va assecondata. L’errore della mamma è non saper leggere il suo bisogno di indipendenza. Mai dirgli: “che fai te ne vai, mi lasci sola?” perché così gli crea un senso di colpa. Amare un figlio significa anche saperlo lasciar andare quando è il momento.
Che succede se la madre ha dei conti in sospeso con il padre del bambino o con gli uomini in generale?
Purtroppo succede che non avendo risolto lei i problemi con le figure maschili, quando il bambino cresce e geneticamente avrà delle somiglianze con il padre biologico potrebbe sviluppare un senso di aggressività e uscirsene con frasi del tipo: “sei come tuo padre”. Quando questo accade, il rapporto madre-figlio diventa conflittuale e può generare confusione nel figlio che improvvisamente non si sente più amato come prima.
La possibilità di commettere errori da parte della madre è più probabile se il figlio è unico?
Non credo. Sfatiamo questo mito. Non è necessario fare una nidiata di figli per evitare di commettere errori. Il figlio è unico solo se i genitori lo fanno sentire tale e se piagnucolano continuamente sul desiderio di averne un altro. Come ho scritto nel mio libro Un papà su misura (Franco Angeli, 17 euro) al figlio dobbiamo dare le radici per crescere e le ali per volare. E questo vale a prescindere da quanti siano, anche perché la socializzazione del bambino non riguarda un fratellino ma il mondo esterno e i suoi simili.
fonte http://d.repubblica.it